In alcune discipline marziali, come l’Aikido, Judo e Ju Jutsu, è necessario imparare ad assorbire una tecnica cadendo.
Alla portata di tutti
La didattica delle ukemi 受け身 riveste una grande importanza per tutte le fasce di età dei praticanti. Possiamo dire che gran parte della decisione di un adulto di proseguire o interrompere la frequenza agli allenamenti dipende da come viene accompagnato a questi gesti – e da come li vive.
Per questo è necessaria una certa gradualità, una sicura metodologia didattica e non guasta l’adozione di alcuni alleati molto importanti, come materassine da ginnastica e fitball. Per alcuni è più immediato lasciarsi andare e rendere il corpo rotondo ed elastico per poter rotolare su un tatami. Per altri no.
Alcuni istruttori, nel passato, ci avevano detto che “L’Aikido è per tutti ma non tutti sono per l’Aikido”.
Noi riteniamo che tutti possano fare esperienza dell’Aikido, nelle sue componenti fondamentali. Evidentemente, a differenti livelli di prestazionalità, perché questa dipende da quel particolare mix di componenti soggettive e oggettive in cui si colloca l’esperienza di ciascuno.
La proiezione – o tobi ukemi 飛び受け身 – è una delle esperienze alla portata di tutti. Se introdotta responsabilmente è un’esperienza che lascia un segno molto profondo nel praticante e lo indirizza generalmente ad un maggiore ingaggio nella pratica e ad una dimensione più consapevole della disciplina. Vediamo perché.
Dissipare
Dal punto di vista biomeccanico, la proiezione è un’ukemi a cui viene tolto un grado di libertà.
Se in conseguenza di una spinta, uno sbilanciamento o per effetto di una leva, uke viene lasciato libero di staccarsi da tori, il suo corpo dissipa l’energia cadendo e rialzandosi.
L’aumento di velocità, l’applicazione improvvisa di una tecnica e soprattutto il trattenere (spesso per un punto su un braccio) uke, determina una ukemi più esplosiva. Il corpo di uke non dissipa l’energia cadendo in modo centrifugo rispetto a tori ma rimane sul posto. Spesso la proiezione avviene anche per scelta di uke, che afferra un punto di presa sul compagno. Oppure -nella pratica con le armi- rimane saldamente in presa sulla spada o sul bastone, quando questo viene preso nelle tecniche di disarmo o di proiezione.
In dettaglio
Che cosa succede nel sistema psicofisico di chi effettua la proiezione?
Lo stato di allerta fa sì che ci sia un’attenzione continuativa durante tutta l’azione. Questo stato, che viene descritto di flow, fa sì che avvenga una prima alterazione della consapevolezza del tempo e dello spazio. In altri termini, è la riproposizione in chiave marziale dell’aneddoto erroneamente attribuito ad Einstein per spiegare la relatività: Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora.
La scarica adrenalinica che consegue il ribaltamento (in una frazione di secondo si passa da una posizione eretta a terra, ruotando intorno a un punto) scatena i meccanismi primordiali di pericolo, immediatamente revocati dal fatto di essere atterrati su una superficie tutto sommato morbida come il tatami.
(Il più delle volte è morbido, almeno).
Questo manda in tilt il nostro sistema e contribuisce alla dilatazione dello spazio-tempo percepito.
Allo stesso modo, il sistema labirintico, responsabile dell’equilibrio, non riesce ad elaborare tutti i processi discordanti che arrivano dal sistema posturale, aumentando la sensazione di espansione del tempo.
La circolarità del movimento, l’aumento della focalizzazione in una condizione di pratica fluida e il più possibile rilassata, contribuiscono ad amplificare gli effetti di una tobi ukemi.
Il risultato è che, quando ben allenata, la proiezione garantisce a chi la riceve un’esperienza sensoriale unica, che si traduce nel vivere un evento in cui si ha la chiara sensazione che il tempo scorra lentissimo e che il corpo non abbia pressoché limitazioni fisiche.
A che cosa serve?
Come usare la proiezione?
Dal nostro punto di vista, la proiezione è un attivatore di visione. Spieghiamoci meglio.
Nella progressione di una disciplina ci sono dei punti di passaggio obbligati che segnano una maggiore comprensione di ciò che la disciplina stessa può restituire al praticante. Padronanza della tecnica, superamento di un esame, capacità di lasciar andare il corpo in una caduta, mantenendo un’attitudine attiva…Tutto ciò restituisce una profondità di visione.
Non si tratta solo di un rinforzo positivo, anche se fondamentale: “Però, ce l’ho fatta”. Soprattutto nell’esperienza della dilatazione spazio-temporale, si apre la possibilità di capire quanto sia trasformativo, in termini positivi, concedersi di vivere totalmente il presente.
E se ogni momento è importante, allora diventa possibile concepire la disciplina come un alleato per definire sempre meglio la visione di chi vogliamo essere, oggi per domani.
L’effetto wow
Per questo motivo, pur riconoscendo l’importanza tecnica della proiezione, intesa come gesto che può salvare l’incolumità fisica nel corso della pratica con uno sconosciuto che chiude improvvisamente la tecnica o, in strada, per uno scivolone, riteniamo che la tobi ukemi sia come una spezia rara e molto profumata.
Se condiamo la nostra pratica solo di proiezioni finiamo con l’assuefarci. E quello squarcio nel continuum spazio temporale inizia a chiudersi e a perdere di gusto. Tutto ciò pur riconoscendo che a livello fisico la proiezione sia il modo più funzionale per ricevere una tecnica.
Se non la condiamo mai, non solo la pratica può avere sempre lo stesso gusto di un menù che conosciamo a memoria ma ci priviamo consapevolmente di un’esperienza unica e insostituibile.
Nelle esibizioni, proiettare il proprio compagno qualche volta fa fare al pubblico presente: “Ooooooh!”. Ci sta. E’ marketing.
Ma nella pratica bisognerebbe puntare a vivere meno “Oooooooh!” e più “Wow”. I primi sono a comando. Il secondo è spontaneo.
Ed è per questo che una didattica delle cadute e delle proiezioni è fondamentale, per poter condurre ciascuno sulla soglia dello stupore e lasciarlo entrare in autonomia, senza forzare.